C’è chi preferisce una panca, all’aperto. Chi invece resta in sala, con gli auricolari e la musica a conciliare la concentrazione.
Nel buen ritiro dell’Arboreto di Mondaino – sede della seconda residenza del progetto NdN (Network Drammaturgia Nuova) – ogni autore cerca lo spazio adatto per la creazione. Michele Santeramo, guida presente ma discreta, scandisce i tempi e le fasi del lavoro: momenti di scrittura e riscrittura individuale, discussioni condivise, letture ad alta voce.
Le incertezze della residenza di maggio (link al pezzo), sono ormai lontane: la struttura delle drammaturgie dei partecipanti è definita, ed è tempo di lavorare sui dialoghi. Le scene vengono passate al vaglio, le battute ripetute ancora e ancora, le intenzioni dell’autore ascoltate e, se non emergono a sufficienza, sviluppate e messe a fuoco. Il metodo proposto per lavorare sul dialogo – ci spiega Santeramo – è quello di “condizione/relazione”: va verificata costantemente la condizione emotiva del personaggio parlante, e la relazione che si instaura con l’interlocutore. “Ogni battuta deve avere una funzione drammaturgica, deve essere viva, capace di cambiare emotivamente chi la pronuncia e chi la ascolta”, continua il drammaturgo: “altrimenti resta solo una questione estetica, che è molto meno interessante”.
Gli obiettivi sono chiari, ma applicare la teoria su testi altrui non è sfida facile: richiede capacità di ascolto e sensibilità. Michele Santeramo dimostra sul campo entrambe le qualità; lascia che gli autori leggano e rileggano i passaggi più delicati, si alza in piedi e prova a recitarli, propone cautamente di tagliare qualcosa. Incalza: “Da dove arriva questa battuta?”. Oppure: “Questa frase è un commento”, o ancora: “non è consecutiva a quello che abbiamo sentito fino qui”. E sotto gli occhi del resto del gruppo – che non esita a intervenire, se serve un aiuto – la partitura dialogica si fluidifica, si chiarisce, guadagna in intensità.
Non mancano spunti di riflessione concreti, sulla produzione dello spettacolo e i rischi che ne derivano: quanto cambierà il testo a seconda dell’attore che lo recita? E quanto potrà essere trasformata dal regista l’interpretazione della pièce? Santeramo invita a porsi il problema in fase di creazione, a cogliere ogni limite scenico come un’occasione per rompere gli schemi, a precisare il più possibile ogni dettaglio: l’indefinitezza lascia spazio al fraintendimento. E poi ancora: pensare al pubblico, evitare ogni possibile perdita di attenzione, spiazzare le attese, farsi contaminare da linguaggi non solo teatrali (non è raro, mentre si cucina la cena, che si discuta di film o di serie).
I drammaturghi annotano e cercano di far penetrare i suggerimenti nella messa a punto del testo: tre giorni di lavoro passano in fretta, e ogni momento è prezioso.
I partecipanti (Margherita Ortolani, Francesca Sangalli, Beppe Casales, Nicolò Sordo, Irene Canale, Carolina de la Calle Casanova) sono tutti professionisti, nella maggior parte dei casi hanno lunga esperienza alle spalle e metodi di creazione diversi e ormai consolidati. È sorprendente dunque la duttilità con la quale si mettono in gioco, la fiducia e la determinazione che mostrano nel porre in discussione le proprie certezze. Ognuno sa bene che i giorni di residenza sono un piccolo e anomalo lusso: i tempi di produzione troppo spesso serrati, la necessità di dedicarsi alla gestione delle proprie realtà artistiche, le difficoltà di ordine pratico rendono il lavoro di tavolino una rarità anche per chi di mestiere fa lo scrittore. Non meraviglia, quindi, sentire qualcuno che immagina e auspica un’ulteriore tappa condivisa, un altro spazio protetto per il confronto disinteressato con quei colleghi diventati ora così familiari. Ma le agende sono troppo piene, e il momento della resa dei conti troppo vicino: il 29 novembre, data della lettura pubblica davanti alla giuria, appare pericolosamente imminente. Domenica mattina il gruppo si prepara per tornare a casa, secondo una mappa drammaturgica che percorre tutta Italia, da Roma a Palermo fino al Lago di Garda. Ognuno carica in spalle la valigia, senza dubbio un po’ più gonfia che all’arrivo.
di Maddalena Giovannelli